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La storia

Gli elmi sono tra i più antichi dispositivi di protezione individuale maggiormente utilizzati in ambito militare. Gli esemplari più antichi che l'uomo conosca risalgono all'epoca dei Sumeri (XXIII secolo A.C.). Poco tempo più tardi li rivediamo utilizzati dai Micenei (XVII secolo A.C.) e dagli Assiri nel 900 A.C.. Impiegati successivamente dai Greci e dai Romani, seguono un evoluzione che li porta ad attraversare tutto il periodo medievale fino alla fine del XVII secolo.

Il materiale e la foggia hanno subito numerose modifiche man mano che le armi diventavano sempre più potenti. Inizialmente costruiti in pelle e ottone, poi in bronzo e ferro durante le rispettive età, li ritroviamo in acciaio forgiato intorno all'anno mille. Questi ultimi erano realizzati con lo specifico scopo di proteggere la testa dai colpi taglienti di spade, frecce, moschetti etc..

L'uso militare dell'elmo subì una sensibile diminuzione dopo il 1670 circa, con la dismissione totale, da parte dei soldati di fanteria, dopo il 1700. Ricomparve solamente in epoca napoleonica con la reintroduzione di esemplari specifici per reparti di cavalleria, corazzieri etc. che hanno accompagnato la storia militare fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Infatti, se pensiamo all'entrata in guerra dell'Italia nel 1915, l'equipaggiamento dei nostri soldati rispettava i canoni del tempo. Un solo particolare mancava quasi completamente fra le voci dei materiali distribuiti: l'elmetto. Diciamo quasi completamente poiché erano presenti per la Cavalleria di Linea ed i Dragoni, dei bellissimi elmi con cimiero che avevano più funzione decorativa che altro. Ma la terribile guerra di trincea contro le posizioni asburgiche aggrappate ad alpi e prealpi, obbligò la scelta di un copricapo che proteggesse la testa, primo bersaglio aldilà di un riparo e del bordo delle trincee. Tale capo di equipaggiamento, in effetti presente fin dal XXIII secolo A.C. e scomparso dopo il medioevo, ritornava a completare l'uniforme del combattente per non lasciarlo mai più.

Prodotti nelle fogge più disparate, attraverso concorsi pubblici come per l'elmetto francese "Adrian", utilizzato dagli italiani nella Prima Guerra Mondiale e realizzato da un artista, oppure lo Sthalhelm tedesco, frutto degli studi di un medico, o quello inglese a "padella" realizzato in tale forma bizzarra per ragioni storiche, oggi tutti gli eserciti si sono uniformati alla sagoma dello Sthalhelm tedesco, ma realizzato con materiali balistici come il kevlar che offre una migliore protezione non solo balistica, ma anche da minacce come onde d'urto prodotte da esplosioni.

Elmo romano da parata secondo secolo dopo Cristo: Germanisches National Museum Norimberga

L'Elmo di Cavalleria

Simbolo per antonomasia dei soldati di cavalleria, le sue origini risalgono al lontano 1820, anno in cui Vittorio Emanuele I, Re di Sardegna, approvò un nuovo tipo di copricapo destinato al Reggimento di Cavalleria "Piemonte Reale".

Esso era composto da una coppa in metallo giallo lucido con la parte inferiore fasciata da pelliccia d'orso di colore nero e recante, nella parte inferiore, un bordo anch'esso in metallo giallo. La visiera era in cuoio pure ricoperto di pelliccia. I sottogola erano in cuoio ricoperti da scaglie d'ottone come squame di pesce, uniti da una fibbia in metallo. Il cimiero in lamierino d'ottone, era ricurvo e spiovente in avanti. Riccamente intarsiato con motivi in rilievo, ricopriva la parte superiore dell'elmo dal coprinuca alla fronte, fino sopra il fregio dove presentava un disco ovale ornato con un motivo a volute. Il fregio a rilievo, posto sulla parte frontale, era in ottone composto da un'aquila coronata ad ali spiegate con uno scudo ovale nel petto ed al suo interno la croce sabauda, contornata da fronde d'alloro e quercia, uno stendardo per parte con croce sabauda all'interno.

Durante le cerimonie e con la grande uniforme, l'elmo era guarnito da una criniera nera, lunga fino a metà schiena, fissata sulla punta anteriore del cimiero, tramite un supporto a forma di testa di leone in ottone sbalzato. Sulla parte sinistra del copricapo, in corrispondenza dell'attacco del soggolo, era fissato un piumetto di colore turchino dell'altezza di 20 cm.

Nel 1822, questo copricapo fu esteso anche al Reggimento Dragoni di Genova, apportando soltanto qualche lieve modifica come il colore della coppa che era in metallo argentato o alpacca ed il cimiero che si prolungava maggiormente nella sua parte terminale ed era più ricurvo. Durante le cerimonie, e con la grande uniforme, era guarnito con una cresta in ciniglia azzurra invece della criniera con leone e del piumetto turchino.

Quando nel 1828 fu costituito il Reggimento dei Dragoni di Piemonte, l'elmo sopra descritto venne anche a loro esteso e dal 1833 fu definitivamente prescritto per tutti i reggimenti di cavalleria ad eccezione del Reggimento "Piemonte Reale Cavalleria", che conservò il caratteristico copricapo fino al 1840, anno in cui fu unificato in una stessa foggia per tutti i reggimenti di cavalleria.
Tre anni più tardi, siamo nel 1843, il vecchio fregio con l'aquila in ottone fu abolito e sostituito con la croce sabauda in metallo argenteo delle dimensioni di circa 10 cm per 10, di circa 2,5 cm di spessore. Sempre nel medesimo anno fu introdotto l'uso di una coccarda turchina (colore della casa Savoia) da collocarsi al di sotto dell'attaccatura dell'orecchione sinistro. Questa coccarda, sostituita nel 1848 da un'analoga, ma tricolore, era in seta per gli ufficiali ed i marescialli, in lana per i sottufficiali ed in corame stampato e verniciato per la truppa. Nel 1872 fu prescritto l'uso dell'elmo soltanto per i primi quattro Reggimenti di Cavalleria, ossia "Nizza", "Piemonte Reale", "Savoia" e "Genova".

Con tale elmo, la Cavalleria Italiana affrontò la 1^ Guerra Mondiale, avendo cura di coprire il rutilante copricapo con un apposito telino verde. Sul davanti era cucita una croce nera che replicava la croce sabauda metallica applicata all'elmo. L'elmo del Colonnello Comandante di Reggimento era dotato di una speciale nappina che riproduceva una granata esplodente con fiamma e croce sabauda che veniva fissata all'estremità dell'orecchione sinistro, tramite due viti e che portava, fissata attraverso una tulipa, un pennacchio (aigrette) di airone. Questo accessorio era usato durante le cerimonie ufficiali.

Elmo italiano per reparti di cavalleria periodo Vittorio Emanuele III

Il Casco "Farina"

Il casco Farina rappresenta un importante punto di riferimento per ciò che riguarda l'evoluzione dell'elmetto da combattimento. Più o meno con l'invenzione della polvere da sparo, l'elmo e le corazze medioevali perdono d'importanza fino a scomparire del tutto. E' con la prima guerra mondiale che l'elmetto torna sui campi di battaglia per non abbandonarli più ed il primo ad essere adottato dal nostro Esercito è proprio il "Farina".

L'elmo fu distribuito alle squadre di guastatori, composte da fanti e genieri ed addette alla rimozione degli ostacoli passivi sul campo di battaglia a premessa dell'azione delle fanterie. Fu ideato e costruito dall'ingegner Ferruccio Farina, il cui laboratorio si trovava in Via Ruffini 10 a Milano. Questo nome e questo indirizzo si trovano, infatti, sul timbro ovale che era applicato all'interno della falda anteriore dell'elmo e che riportava, in cifre romane, anche la taglia (I - II - III).
L'elmo era composto da tre parti principali dipinte con vernice opaca antiriflesso grigio verde. La calotta, in lamiera ovoidale cui era fissata con otto chiodini ribattuti, la falda anteriore, composta da quattro fogli d'acciaio sovrapposti e tenuti assieme da cinque chiodini ribattuti e la falda posteriore anch'essa in lamiera e dell'altezza di circa quattro centimetri. Ai lati della testa, all'altezza delle orecchie erano fissati con due ribattini altrettanti riporti in lamiera cui era attaccato il soggolo in cuoio grigio verde con fibbia in metallo.

La falda anteriore di 8 o 12 centimetri distingueva il modello chiamato "alto" dal modello denominato "basso".
Il modello "alto" raggiungeva un peso di circa 2.250 gr. mentre il modello "basso" si aggirava sui 1.850gr. Nei primi modelli non era stato previsto alcun sistema d'aerazione perciò, successivamente, si applicò la calotta in lamiera all'esterno delle falde di protezione permettendo così una migliore circolazione dell'aria. Anche in questi modelli successivi denominati "con aerazione" si trovano sia le versioni a falda anteriore "alta" che "bassa".
Il problema dell'aerazione fu risolto definitivamente con l'adozione di una cresta tipo elmo "Adrian" che aveva la funzione di coprire un foro effettuato sulla sommità della calotta. Anche questa modifica venne effettuata sugli elmi di entrambi i modelli cui se ne aggiunse una terza versione intermedia fra la "alta" e la "bassa".

Non esisteva un'imbottitura di serie e gli utilizzatori lo indossaro​no inizialmente sul berretto da campo indossato all'indietro. Successivamente fu adottata una cuffia di stoffa trapuntata ed imbottita con crine di cavallo ed ovatta. In alcuni casi furono anche fissati due pezzi di caucciù all'interno della falda anteriore per migliorare la stabilità dell'elmo. Nonostante tutti i tentativi per migliorarne la vestibilità, l'elmo "Farina" rimase uno strumento scomodo e pesante. La produzione si fermò con la massiccia distribuzione del Modello 15 e successive varianti.

Esemplare di "Casco Farina" modello basso

Il "modello 15" e la Grande Guerra

Nell'autunno del 1915 i primi caratteristici elmetti in livrea francese grigioazzurra con la granata fiammeggiante ornata della sigla RF (Republique Francaise) sul davanti venivano distribuiti ai reggimenti in prima linea. L'elmetto, che sarà denominato dopo la guerra "Modello 15", si componeva di una calotta, una visiera anteriore ed una posteriore ed un cimierino che fungeva da copertura dello sfiatatoio. I diversi pezzi erano incastrati e fermati da chiodi o coppiglie.

Grazioso nell'aspetto, l'elmetto si rivelò decisamente fragile. Quando colpito sul fianco l'elmetto andava letteralmente in pezzi. Per tale ragione nel 1916 entrò in linea un secondo modello conosciuto come "Modello 16", prodotto in Italia, composto dalla calotta e dal cimierino saldato in sei punti alla calotta.

L'elmetto aveva una cuffia fissata ad un lamierino ondulato a sua volta connesso all'elmetto da quattro grandi graffe metalliche. La cuffia aveva un supporto in feltro rivestito di pelle o tela cerata. Un sottile soggolo con una maglia scorrevole fermava l'elmetto al capo del combattente. Verniciato in verde oliva, l'elmetto italiano non aveva ufficialmente fregi che però presto comparvero sulla fronte degli elmetti. Quasi sempre di fattura artigianale, vennero accompagnati anche da insegne di grado dipinte sul lato del casco. Bersaglieri e Alpini si industriarono a fissarvi piumetti e penne anche se questi ultimi a dire il vero usarono assai poco l'elmetto.

Sul finire della guerra, la tenuta dei combattenti, ripulita da ogni orpello e resa essenziale dall'esperienza di tre anni di trincea, completò l'elmetto con un telino antiriflesso che riportava ricamato a macchina almeno il numero identificativo del reggimento sovrastato dalla corona reale.

Nel dopoguerra l'elmetto venne guarnito da insegne metalliche e non fu sostituito se non all'inizio degli anni trenta dai modelli "31", sperimentale e dal definitivo "modello 33".

Elmetto italiano "Adrian" modello 1915 in colorazione grigioverde

Il modello 31-33 italiano

Il fatto che l'emblema della guerra vittoriosa fosse proprio un elmetto di produzione estera, contribuì, insieme alle deficienze del materiale già descritte, alla ricerca di un elmetto di nuova concezione pensato e disegnato in Italia.

Lo studio sfociò nella realizzazione dell'elmetto "Modello 1931" le cui linee generali sarebbero rimaste anche nel successivo "Modello 1933".
Verniciato in grigioverde chiaro, tinta in effetti difficile a descriversi, fu subito apprezzato per la linea e la confortevolezza. Composto da una calotta ed un crestino che proteggeva lo sfiatatoio superiore era completato da una cuffia in pelle del tipo a sacchetti. Tre cuscinetti in pelle erano infatti posti all'altezza della nuca e delle tempie. Soggolo di pelle tinta in grigioverde con fibbia e passante completavano la cuffia.

Distribuito ad alcuni reparti sia dell'Esercito sia della Milizia, ebbe vita breve.

Gli sviluppi dello studio dedicato portarono infatti all'introduzione del già citato Modello 33. Elmetto assai longevo, ispirò, insieme al Modello 1935 tedesco, diversi elmetti di altri paesi europei fra cui l'Unione Sovietica, la Danimarca, la Bulgaria ed altri. Addirittura le linee generali saranno rintracciabili nel penultimo elmetto in dotazione all'Esercito Francese prima dell'introduzione del modello in Kevlar, ed in quello Israeliano.

Il Modello 33 differiva dal Modello 31 per pochi particolari. Il più evidente fu l'abolizione del crestino e la sistemazione della cuffia fissata al casco attraverso tre ribattini che fungevano da sfiatatoio. Diverse soluzioni furono comunque approntate, fra cui una senza ribattini, completamente liscia e cuffia a cuscinetti, ed altre con più sfiatatoi, posti al culmine della calotta e addirittura frontali. La versione prescelta fu quella con la cuffia fissata al guscio da tre ribattini sfiatatoi.
Dipinto inizialmente in grigioverde chiaro, poi in una tonalità più scura, veniva ridipinto dalle unità stanziate in Africa, almeno all'esterno, in giallo ocra.
Sul frontale venivano dipinti a mascherina i fregi delle Armi e Sevizi, corredati di numero identificativo del reparto o altri simboli. Durante la guerra spesso questi "ornamenti" furono eliminati. La cuffia di pelle sistemata ad un confortevole supporto in feltro aveva un soggolo in pelle tinta in grigioverde con fibbia di chiusura.
Un telino mimetico venne introdotto nel corso del 1942 mentre una cuffia autarchica in tela cerata e soggolo in canapa fecero la loro comparsa sul finire della guerra.

Sostituito durante la cobelligeranza dalla "scodella" inglese distribuita ai Gruppi di Combattimento ("Folgore", "Mantova", "Cremona", "Legnano" e "Piceno") venne reintrodotto al termine delle ostilità. Cambiato il soggolo in pelle con uno scorrevole in nastro di canapa, ridipinto in una tonalita chiara di verde oliva, portava ancora sul davanti, in nero, i fregi delle Armi che saranno abbandonati col tempo. Come prima della guerra, i bersaglieri hanno continuato ad ornare del loro caratteristico piumetto il copricapo d'acciaio. Per questa specialità venne infatti realizzato, insieme all'elmetto, un "portapiumetto" mobile in metallo e pelle. Gli Alpini ed i reparti da montagna fissarono la penna sia ad uno dei ribattini/sfiatatoi laterali oppure sfruttarono la reticella ed il telino di mascheramento od ancora una piastrina metallica da saldare sul fianco dell'elmetto. Un portapenna a clip da fissare al bordo dell'orecchioniera fu utilizzato nel periodo bellico.

Mascherato per mezzo di una rete marrone, completato dal cappuccio mimetico della tuta da combattimento, da strisce di tela yuta e nell'ultimo periodo di servizio da telini verde oliva scuro, come le nuove tute di servizio e combattimento dell'epoca, il Modello 33 ha chiuso la sua esistenza operativa con l'Esercito Italiano a circa sessant'anni di età, soppiantato dai giovanissimi modelli in kevlar dalla caratteristica forma a scalino del coevo "Modello 35" tedesco.

Versioni particolari del 33 furono l'elmetto "Greco" ed il "Modello 42" per paracadutisti.

Lo "Stahlhelm" tedesco

Il termine Stahlhelm si riferisce ad un generico elmetto in acciaio, più specificamente a quello tedesco, introdotto durante il primo conflitto mondiale nel 1916, con il suo inconfondibile aspetto a "secchio di carbone" che divenne un simbolo immediatamente riconoscibile nell'iconografia militare, ed un elemento comune di propaganda per entrambi gli schieramenti, come il "Pickelhaube" era stato in precedenza.

Allo scoppio della prima guerra mondiale nessuno dei combattenti era dotato di una qualche forma di protezione per la testa, eccezion fatta per copricapi in tessuto o in cuoio. Quando la guerra entrò nella sua lunga fase statica, la guerra di trincea, il numero di perdite su entrambi i fronti dovute a ferite alla testa (spesso causate da shrapnel) crebbe drasticamente. Come già detto, l'Esercito Francese fu il primo a intravedere il bisogno di una maggiore protezione, e cominciò a distribuire alle truppe l'elmetto "Adrian". Le truppe dell'Esercito Britannico e del Commonwealth ne seguirono l'esempio con l'elmetto "Brodie", più tardi indossato dalle truppe statunitensi, e infine i tedeschi introdussero lo Stahlhelm.

Il disegno dello Stahlhelm fu opera del dott. Friedrich Shwerd dell'Istituto tecnico di Hannover. Al principio del 1915, Shwerd aveva condotto uno studio sulle ferite alla testa tipiche della guerra di trincea e inviato una raccomandazione all'utilizzo di elmetti in acciaio e poco tempo dopo aveva ricevuto l'incarico di progettare un elmetto idoneo. Dopo un lungo lavoro di sviluppo, ivi comprese le prove su una selezione di copricapi, sia di produzione alleata, sia tedesca, i primi Stahlhelm furono testati nel novembre 1915 al poligono di Kummersdorf, e quindi provati in battaglia dal 1º Battaglione d'assalto. Ne vennero ordinati dapprima 30 mila esemplari, ma non fu approvato per un uso generalizzato sino all'inizio del 1916, per cui spesso è ricordato come "Model 1916". Nel febbraio 1916 fu distribuito alle truppe di Verdun, dopo di che, l'incidenza di ferite gravi alla testa calò rapidamente.

Invece dell'acciaio al manganese usato nei Brodie britannici, i tedeschi utilizzarono un acciaio martensitico più duro, al silicio/nickel: in virtù di ciò, e anche per la forma dell'elmetto, lo Stahlhelm doveva essere formato su stampi riscaldati, a un costo di gran lunga maggiore dell'elmetto britannico, ma che garantiva una resistenza maggiore e una funzionalità migliore rispetto ai suoi "colleghi stranieri" e la dimostrazione che questo fu un progetto vincente sta nel fatto che ancora oggi, ad oltre un secolo di distanza, tutti gli elmetti prodotti dalla maggior parte degli eserciti mondiali sono ancora su disegno del modello "Stahlhelm tedesco".