VALUTAZIONE E ACQUISTO EQUIPAGGIAMENTI, CINTURONI, GAVETTE, BORRACCE, MASCHERE ANTIGAS ETC.

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Il termine "equipaggiamento militare" comprende tutti gli strumenti e gli oggetti di cui un esercito ha bisogno per svolgere le sue funzioni. L'allestimento di un'installazione militare è parte dell'equipaggiamento così come i vari oggetti di misura medio-piccola trasportati dal singolo militare, a seconda della funzione svolta.

Se pensiamo, per esempio, all'equipaggiamento standard del fante italiano nella grande guerra notiamo, oltre all'uniforme, le calzature e il copricapo (berretto e/o elmetto), anche uno zaino, il tascapane (contenente tra le altre cose gavetta e borraccia), la maschera antigas e la buffetteria.

Equipaggiamento vari eserciti periodo prima e seconda guerra mondiale

Lo zaino modello 1907

Realizzato in tela impermeabilizzata grigia con rifiniture in cuoio naturale e metalleria imbrunita, l'involucro centrale doveva contenere due paia di mutande di lana, due camicie di tela, pezze da piede e corredo da fatica in tela bigia separato da uno scomparto, una pagnotta di pane. La tasca esterna era destinata a contenere il corredo di pulizia per gli scarponi, scarpe da riposo (poi abolite nel gennaio 1916), il necessario per la pulizia del fucile, la borsa di pulizia personale e un sacchetto di sale. Ogni tasca laterale conteneva due pacchetti di cartucce per il Carcano 91, per un totale di 72 cartucce in 12 caricatori e una scatola di carne. Il coperchio dello zaino era provvisto di due cinturini di cuoio esterni per bloccare il telo della tenda con due bastoni a tubo e mantellina grigioverde. A sinistra la tasca aveva dei cinturini per fermare uno strumento da zappatore.

Il tascapane modello 1907

Realizzato in tela impermeabilizzata grigia doveva contenere una pagnotta, un fazzoletto, un paio di calze di lana, gallette e vari generi alimentari in appositi sacchetti, una tazza di latta e alcuni scaldarancio. Quindi una gavetta in lamiera di ferro con copri gavetta contenente un cucchiaio e una forchetta di ferro (il copri gavetta venne abolito nel maggio 1918 e la relativa tela venne utilizzata per i telini antiriflesso degli elmetti) e tre tipi di borracce da un litro.

La maschera antigas

“Chi si leva la maschera muore, tenetela sempre con voi” era inciso sull’astuccio di latta che conteneva la protezione antigas consegnata ad ogni soldato, affinché si tenesse bene a mente la pericolosità degli attacchi chimici che avevano dato una brusca svolta alla Grande Guerra.

Oltre a mitragliatrici e carri armati, per la prima volta, nelle operazioni belliche vennero impiegati agenti tossici, come effetto innescato dalle importanti scoperte e sperimentazioni fisico-scientifiche avvenute negli anni precedenti il conflitto mondiale.

Furono i francesi a fare da apripista nel 1914 frenando l'avanzata tedesca verso Parigi con un massiccio lancio di granate contenenti lacrimogeni. A un tale affronto, la Germania reagì con la corsa a strumenti non convenzionali sempre più aggressivi perché era convinta – per dirla con le parole del comandante delle forze tedesche Erich von Falkenhayn  - che l’industria e la scienza dovessero essere al servizio della Guerra, sfornando ‘nuove armi’ per far cessare lo stallo al fronte. Per ‘nuove armi’ si intendevano, appunto, soluzioni tossiche che potessero ridurre i tempi del conflitto come sostenuto da Fritz Haber (Premio Nobel per la chimica nel 1918) il quale era riuscito a convincere lo Stato Maggiore dell'esercito tedesco della necessità di usare tali sostanze contro gli avversari.

Inizialmente la Germania tentò con i gas starnutenti (ottobre 1914) e subito dopo a Ypres (22 aprile 1915) con le bombe al fosgene, il composto asfissiante di cloro e fosforo scoperto dal chimico inglese John Davy per tingere tessuti. Si trattò del primo vero attacco con sostanze letali vìolando così la 'Convenzione internazionale dell'Aja' del 1907 su ‘leggi ed usi della guerra terrestre’ con cui si proibiva qualsiasi impiego di agenti chimici.  Per quel veleno che avrebbe sparso morte tra le truppe nemiche appostate sul territorio belga, c’era forte apprensione anche nelle fila tedesche, come testimonia la lettera scritta alla madre dal soldato di fanteria, Wihlelm Kaiser, nella quale pregava affinché il vento giocasse a favore per la buona riuscita dell'azione. In caso contrario, infatti, la nube tossica sarebbe tornata indietro come un boomerang, provocando la decimazione sull'altra linea del fronte.

Allora non esistevano rimedi efficaci, né sistemi di protezione adeguati, così i soldati, per non respirare, erano costretti a coprirsi naso e bocca con della mollica di pane o del cotone imbevuti di acqua o di urina, poiché l'ammoniaca che vi è contenuta permetteva di neutralizzare l’effetto del cloro. 

Arrivò solo qualche mese più avanti il boom della produzione nell'industria di coloranti tedesca piegata ormai alle esigenze belliche - si ricordano aziende come BASF, Bayer, AGFA, e Hoechst - e la diffusione dei prototipi rudimentali delle maschere antigas. Simili a museruole in cuoio, contenevano garze imbevute di sali alcalini, in grado di annullare l’effetto dei composti a base di cloro e bromo. Chiamata anche 'grugno di maiale' la maschera venne perfezionata con l'ausilio di un boccaglio, in modo che l’aria passasse attraverso appositi filtri prima di arrivare ai polmoni e venne realizzata per uomini e animali, civili e militari.

L'orrore dei veleni si ripeté il 29 giugno del 1916, questa volta per mano delle truppe austroungariche contro i soldati italiani arroccati sulle cime del San Michele, provocando oltre 6 mila vittime. “Ovunque si odono lamenti, che strappano il cuore, ed i medici, che pure si prodigano incessantemente, sono impotenti a lenire almeno gli spasmi” annotò sul suo taccuino il sottotenente, Giuseppe Mimmi

All’epoca la dotazione sanitaria del soldato italiano comprendeva una maschera monovalente, la ‘Ciamician-Pesci’ costituita da dieci strati di garza impregnati di una soluzione neutralizzante basica, progettata per resistere al cloro e veniva adoperata insieme a un paio di occhialini antilacrimogeni. Rivelatasi tragicamente inefficace al fosgene, sul San Michele, l'anno successivo venne sostituita dal modello Polivalente derivato dalla M2 francese.

Il 12 luglio 1917 la Germania sferrò l'ennesimo e ancora più atroce attacco a Ypres, con un nuovo composto, non letale ma tra i più temibili e aggressivi: il solfuro di etile biclorurato. Ribattezzato “croce gialla” è passato alla storia come “yprite” - dal nome della città belga in cui era stato utilizzato la prima volta - o “gas mostarda”, per via dell’odore simile alla senape. I danni dell’yprite si contarono con il tempo, perché gli effetti apparivano solo dopo ore dal contatto con prurito e bruciore, poi vesciche e rigonfiamenti, fino a gravi degenerazioni dei tessuti.

Il bilancio di un conflitto che durò quasi cinque anni fu spaventoso: circa 125.000 le tonnellate di gas tossici utilizzate tra una ventina di sostanze diverse, 58.000 tonnellate furono impiegate dall'Intesa; ne furono colpiti 1.300.000 soldati, con 91.000 morti.

Maschera antigas italiana polivalente Z con custodia mod. "Liberty"

La buffetteria

La buffetteria del soldato italiano nella Grande Guerra si componeva di due paia di giberne mod. 1907 in cuoio naturale tinte in grigioverde, cinturino mod. 1891 con fibbia arcuata, bretella reggi giberne con ardiglioni, baionetta mod. 1891 con borsa in cuoio grigioverde e fodero metallico. In ogni giberna erano contenuti 4 caricatori per Carcano 91; ogni giberna doppia conteneva 8 caricatori per un totale di 48 cartucce. Ogni soldato poteva quindi disporre di 16 caricatori per 36 cartucce, più dodici caricatori di riserva tenuti nello zaino. L'autonomia complessiva era pari a ben 168 cartucce. I caricatori erano distribuiti a pacchetti da tre ciascuno.