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Come descritto in modo chiaro e semplice all'interno dell'area storica del sito internet del Ministero della Difesa, l'uniforme è l'insieme dei capi di vestiario, corredo ed equipaggiamento indossati dal militare per lo svolgimento del servizio ed al di fuori di esso, quale elemento distintivo della propria condizione.
La foggia d'abbigliamento che identifica i militari - l'uniforme - è costituita dal copricapo, dalla tunica e dal pantalone lungo, il tutto confezionato nei colori di uso esclusivo delle Forze Armate. La colorazione dell'uniforme e la sua foggia seguono uno specifico schema di abbinamento che identifica armi e corpi.
L'elemento divisa si esprime attraverso gli ornamenti, fregi e distintivi che sono rappresentati dalla filettatura posta a guarnizione di tuniche, pantaloni (incluse le bande), la colorazione di colli e paramani, fregi d'arma o corpo applicati ai copricapo, i bottoni, le squame ed il metallo degli spallini, nonché la qualità delle frange, ed inoltre, i distintivi di grado e di carica.
L'uniforme militare: dall'Impero Romano alla concezione moderna
Con la caduta dell'Impero Romano e la disgregazione delle sue Istituzioni Militari cessa di esistere un esercito emanazione di una Autorità centrale, dove esistono gradi e gerarchie che fissano il ruolo di ciascun militare, in cui ogni legionario indossa armi ed equipaggiamenti specifici della sua funzione tattica in battaglia (elmo, lorica squamata o segmentata, gladio, scudo etc.). Anche le decorazioni seguono norme stabilite, ogni centurione della legione porta sull'elmo la cresta del cimiero disposta trasversalmente perché, nella mischia della battaglia, i suoi legionari possano seguirlo senza perderlo di vista; il bastone di legno di vite è il segno della sua autorità.
Passando a tempi più recenti, l'uniforme militare nella concezione moderna nasce solo alla fine del XVII secolo con la creazione degli eserciti nazionali, costituiti per effetto del consolidamento delle grandi monarchie negli Stati europei. Fino a quel momento, l'Europa era stata sconvolta dalle sanguinose lotte dinastiche, dalle guerre di religione e di predominio. Le Istituzioni militari erano ancora dominate dal concetto medievale di cavalleria nel senso di casta, appannaggio esclusivo della nobiltà.
Gli uomini, che si presentavano sui campi di battaglia nel corso di questi secoli, indossavano tutti un abbigliamento riconducibile alle seguenti tipologie:
- livrea: indossata dagli uomini d'arme, non di rado mercenari, al servizio dei sovrani o dei grandi feudatari, essa ripeteva con particolare evidenza i colori e gli emblemi del proprio signore;
- costume nazionale: veniva indossato generalmente da popolazioni con forti tradizioni guerriere dove l'abbigliamento si completava con l'aggiunta delle rispettive armi tradizionali; è il caso di Svizzeri, Lanzichenecchi e Scozzesi;
- armamento di difesa: veniva indossato dai combattenti secondo l'evoluzione delle armi attraverso i secoli (elmi, scudi, cotte di maglia, etc.). La qualità e la fattura degli equipaggiamenti in questione dipendevano, in gran parte, dalle possibilità economiche del proprietario o dalla abilità del capo di munire i sui uomini di un adeguato armamento, sia da offesa che da difesa. Spesso si trovava in queste forniture materiale eterogeneo, perché frutto di razzie o preda di guerra.
All'epoca, la presenza ed il riconoscimento delle forze che componevano gli schieramenti in battaglia, erano affidati ancora alle grandi insegne che sventolavano sul campo recanti emblemi e colori di sovrani e di principi; orifiamma, stendardi, bandiere e vessilli indicavano con i loro colori la posizione degli eserciti. L'uniformità del vestire era ancora molto frammentaria per la eterogeneità delle forze schierate, orgogliose della propria individualità.
Per giungere ad un criterio di uniformità di concezione moderna, bisognerà ancora attendere. Solo alla fine del XVII secolo prese corpo il principio di una forza militare nazionale. I soldati che rappresentano l'autorità del sovrano, vestiranno ora un abito speciale per foggia e colore, segno del loro servizio; l'uso arbitrario da parte di persone estranee all'esercito era punito con pene severe.
I parametri che hanno determinato l'evoluzione dell'uniforme
Fino a non molti anni fa l'interesse per le uniformi militari si limitava soprattutto agli aspetti coreografici, quasi che si trattasse di un fenomeno retto solo da esigenze di ordine estetico. È apparso chiaro che le trasformazioni del costume militare, avvenute attraverso i tempi, sono state determinate dal concorso di cause precise, le stesse che hanno prodotto lo sviluppo e le evoluzioni degli eserciti, perché l'abbigliamento e l'equipaggiamento del soldato si esprimono in funzione di come gli uomini sono chiamati ad operare in battaglia, ovvero dai diversi stati della tattica.
Possiamo però dire con certezza che uno dei parametri che più di altri ha determinato le trasformazioni dell'abbigliamento militare degli ultimi 100 anni (continuando a farlo tutt'ora) è il concetto di "mimetizzazione". Tale concetto indica la messa in atto di particolari accorgimenti atti a confondere con l'ambiente uomini e mezzi bellici, allo scopo di renderne difficile l'individuazione da parte del nemico. Infatti, l'eco dei grandi massacri della guerra russo-giapponese (1904 - 1905) aveva destato qualche perplessità in Italia sull'uso dell'uniforme turchino-scura in dotazione all'esercito. Ma a tutto il 1905 non si era ancora tentato nulla. L'iniziativa venne presa da un borghese: Luigi Brioschi, presidente della sezione milanese del Club Alpino Italiano.
Brioschi, nato a Milano nel 1853, dopo aver soggiornato a lungo negli Stati Uniti, era tornato in Italia nel 1904. L'idea di un'uniforme meno appariscente gli venne, come confesserà egli stesso, mentre leggeva sui giornali « delle stragi della guerra russo - giapponese ». Intuendo che, considerata « la spaventosa potenza delle armi da fuoco moderne, avrebbe avuto maggior vantaggio sull'avversario quell'esercito che sarebbe stato meno visibile sul campo di battaglia, e dalla cui divisa si fossero eliminati, con cura sapiente, tutti gli accessori inutili e tutti i colori accentuati ». Brioschi entrò in contatto con il tenente colonnello Donato Etna, comandante del battaglione Morbegno del 5° Reggimento alpini, a sua volta interessato allo stesso problema. Tra i due uomini nacque, ovviamente, un'immediata simpatia e grazie all'appoggio di un altro lungimirante ufficiale, il colonnello Francesco Stazza, comandante del 5° alpini, che ottenne le autorizzazioni dalle autorità militari, e con una somma messa a disposizione dal Brioschi, fu possibile iniziare nel luglio del 1905 i primi esperimenti, che si tennero nel Bergamasco, dov'era di stanza il battaglione Morbegno. Le prime prove furono eseguite su sagome riproducenti una coppia di alpini, una dipinta nell'uniforme turchino - scura, allora in uso, e l'altra con i colori sperimentali.
Le sagome vennero disposte a terra, in ginocchio ed in piedi alla distanza di 350, 450 e 600 metri. Le prove, a cui assistettero come osservatori e attori gli Ufficiali ed i soldati del battaglione, consistevano nello sperimentare quali sagome fossero meno visibili, a seconda della luce e della distanza in varie ore del giorno. Si constatò che le sagome grigie, colore che finì per prevalere nei primissimi esperimenti, non venivano avvistate, o venivano avvistate solo in parte, mentre quelle turchino-scure erano immediatamente individuate. Alle prove di avvistamento seguirono quelle di tiro, eseguite dai migliori tiratori del battaglione, nelle identiche situazioni e con gli stessi parametri di luce e di distanza. Il risultato fu che a 600 metri la sagoma grigia in piedi era colpita 3 volte su 24. Mentre quella turchino-scura, sempre in piedi, ben 24 volte su 24. Ce nera più che a sufficienza per passare alla seconda fase: vestire un reparto di prova con l'uniforme proposta dal Brioschi. Ma per fare ciò era necessaria l'autorizzazione del Ministero della Guerra, anche se il Brioschi per facilitare la procedura aveva offerto 500 lire, cifra sufficiente a vestire un intero plotone. Si cercarono allora degli appoggi, invitando personalità civili e militari ad ulteriori esperimenti, mentre il Brioschi, al 36° Congresso del Club Alpino Italiano, tenuto a Venezia il 10 settembre del 1905, propose che il Club stesso si facesse promotore dell'adozione della nuova e più moderna uniforme degli alpini. La presidenza del Club prese atto della proposta del Brioschi, ma non fece seguire alcuna favorevole pressione. L'interessamento del Brioschi all'uniforme degli alpini non nasceva soltanto dal fatto che, per amore della montagna, si sentisse più legato a questo corpo, ma anche ad una considerazione strategica. Riteneva infatti che, per la conformità delle nostre frontiere, in caso di guerra sarebbero stati impegnati per primi proprio gli alpini. Va ricordato che in quegli anni i nostri rapporti con l'Austria-Ungheria erano scossi dai continui tentativi di questa di penetrare più profondamente nei Balcani. Poiché anche l'Italia aveva le stesse mire, si poneva in diretta concorrenza con l'impero asburgico, anche se vi era legata formalmente da un patto d'alleanza. La proposta Brioschi dovette seguire il suo iter burocratico, che grazie alla favorevole relazione del tenente colonnello Etna, all'appoggio del colonnello Stazza, nonché alle calde raccomandazioni delle personalità che avevano assistito agli esperimenti, fu piuttosto veloce; il 24 luglio 1906 quaranta alpini della 45^ compagnia del battaglione Morbegno indossarono l'uniforme sperimentale grigio-creta. Colore che dette al plotone il soprannome di « Plotone Grigio ». Brioschi ed il tenente colonnello Etna non si occuparono soltanto del colore dell'uniforme, ma anche di introdurre capi più razionali alla vita ed all'impiego militare. Così se di Brioschi furono il « cappello molle », sul modello di quello in uso nell'esercito statunitense, ed il poncho, del tenente colonnello Etna furono l'introduzione del sacco alla tirolese, al posto dello zaino, e della nuova cartucciera derivata, sembra, da un modello russo che Luigi Barzini aveva mostrato ai due (un ricordo che il giornalista aveva portato dalla guerra russo-giapponese dove era stato come inviato speciale)....il resto, il grigio-verde e l'uniforme 1909, è storia nota.
I Gradi
I Gradi della gerarchia militare che oggi sono in uso affondano le radici del loro significato almeno negli ultimi sei secoli di storia.
Caduto l'Impero Romano, polverizzato il potere centrale in tanti piccoli Regni, ducati o repubbliche, perduta la necessità e la capacità economica e politica di tenere alle armi grossi contingenti di truppe, bisogna far passare un migliaio di anni prima che in Italia si vada ricostituendo una struttura militare di qualche rilievo.
In pieno medioevo, le truppe di quasi tutti i paesi europei erano per lo più mercenarie. Meno costose delle unità nazionali tutte da creare, equipaggiare e addestrare, risultavano però poco affidabili in combattimento. Problema davvero rilevante per i Governanti che avessero un minimo di ambizione. Non era raro, infatti, che invece di battersi fra loro, milizie mercenarie schierate su fronti opposti si incontrassero in amicizia sul campo di battaglia, quando, per effetto di ingaggi successivi, non disertavano del tutto la scena, lasciando malcapitati Signori alla mercé dell'avversario. La necessità di ordinare le proprie genti per la guerra divenne quindi un'esigenza di sopravvivenza e questa fu la molla che fece scattare la ricostruzione delle catene gerarchiche.
I gradi indicano il rango gerarchico del militare che li indossa. Le insegne di grado, sono rappresentate con diversi tipi di disegno a seconda se sono portate sulle uniformi da cerimonia o le altre combinazioni. Nei vari casi, come per esempio nell'Esercito Italiano di oggi sono la somma di "stellette" o "barrette" combinate ad altri simboli come la "torre" o una barretta più alta, ad individuare l'appartenenza ad un certo livello gerarchico. L'aumento di stellette o barrette indicano la progressione di grado. Sui copricapo, diversi sono i sistemi di rappresentazione costituiti da barrette e soggoli di forma diversa o da barrette di diverso spessore e formato.
I Fregi
I fregi sono la simbologia che individua Armi e Corpi dell'Esercito, sui diversi copricapo in uso. Ad oggi si applicano su tutti i tipi di copricapo, ad eccezione del fez da bersagliere, del berretto per uniforme di servizio e combattimento e del berretto di lana. I fregi sono di disegno diverso, a seconda del copricapo sul quale vengono portati. Ricamati o metallici in color oro si applicano, centrati, sul davanti del berretto rigido, cappello alpino, chepì. Sul basco, invece, i fregi sono in metallo argentato e vengono portati in corrispondenza della regione temporale sinistra.
Oggi, i fregi ricamati vengono utilizzati con il berretto rigido ed il cappello alpino degli Ufficiali, Marescialli, Sergenti e Volontari con uniformi ordinarie (invernale ed estiva) e, sul solo berretto rigido, con uniformi da cerimonia e derivate. Il loro uso, obbligatorio con le uniformi da cerimonia e derivate, è facoltativo con le uniformi ordinarie e, nel caso, sono sostituiti dai corrispondenti fregi metallici dorati.
Le Mostreggiature
Le mostreggiature individuano l'Arma, Specialità o Corpo di appartenenza del militare che le indossa e si distinguono fra loro per forma, colore e simboli tradizionali. Sono portate sulla giubba (o sulla camicia quando previsto) dell'Uniforme Ordinaria e di Servizio. Realizzate nel passato in plastica per la truppa e in panno o ricamate per i Quadri, sono attualmente prodotte in metallo smaltato per tutto il personale militare.
Si chiamano "alamari" le mostreggiature rettangolari indossate dai Granatieri e dagli Ufficiali in servizio di Stato Maggiore ed anche quelli a "fiorami" della Banda dell'Esercito. Le mostreggiature, a seconda della forma, sono dette fiamme ad una punta (o pipe), fiamme a due punte o fiamme a tre punte o rettangolari. Su tutte, nella parte bassa, campeggia il simbolo dei militari italiani da sempre: la stella ("stelletta") a cinque punte.